martedì 30 ottobre 2012

i tre moschettieri


Nuova versione cinematografica del più famoso romanzo d'appendice di tutti i tempi.
Pistole, navi volanti e poca spada, non renderanno orgoglioso Alexandre Dumas (creatore della trilogia de' i moschettieri), ma io penso che se fosse vissuto ai nostri giorni, probabilmente, lui avrebbe osato ancora più di Paul Anderson (sceneggiatore e regista anche dei Resident Evil e si vede!!!) e di Andrew Davies (sceneggiature anche di Il diario di Bridget Jones).
Il romanzo d'appendine diventa popolarissimo a cavallo tra la fine dell'1800 e i primi decenni del 1900. È un sottogenere del romanzo e punta dritto alla massa. È chiamato anche feuilleton e praticamente è il padre delle soap opera. È concepito per intrattenere un pubblico potenzialmente vastissimo. Ed è proprio quello che fa questo film. Intrattiene.
Se poi ci aggiungi il fascino de' i moschettieri, alla fine ti senti meno in colpa per aver perso quasi due ore di tempo a guardarlo.
Milla Jovovic arriva dritta dalla serie dei "Resident", cambiandosi d'abito e niente più. Stessa bellezza, stesse capriole. Il marito Paul Anderson (regista e sceneggiatore), infatti, non perde tempo a scriverle un nuovo personaggio e le affibbia solo un altro nome (Milady).
Christoph Waltz (Bastardi senza gloria, Carnage, Django Unchained) è un Richelieu che trama complotti senza la cattiveria necessaria per portarli a termine. Mentre Orlando Bloom è un Duca di Buckingham troppo ingenuo, preso tra i giochi del Cardinale, di Milady e gli stessi moschettieri.
La storia è sempre quella, i mezzi son cambiati.
Se non trovi niente di meglio da fare o, come ho fatto io, durante una lunga pausa caffè dopo pranzo, potresti dargli una chance, ti terrà comunque compagnia.

I tre moschettieri di Paul Anderson
Stati Uniti d'America, Regno Unito, Germania
con Logan Lerman, Milla Jovovic, Orlando BloomChristoph Waltz

lunedì 29 ottobre 2012

le storie della mia incredibile vita


Racconto in fase di scrittura

Ci sono delle cose che nessuno riesce a capire.
Non è che sono più complicate di altre situazioni della vita, è solo che sembrano nascere con dei contorni mutevoli e questo sembra donare loro molteplici significati. Affascinante, no?
Ma qual'è, infine, il vero significato delle cose? Qualunque azione che compiamo è interpretabile, è per questo motivo che abbiamo creato l'espressione Mezzo pieno, mezzo vuoto, perché ogni cosa può essere diversa da come noi la intendiamo. Dipende dal punto di vista, da come la si guarda e da come ci si pone nei suoi confronti e nelle varie sfaccettature dei suoi significati.
Una cosa è l'interpretazione onesta, un'altra è l'interpretazione di comodo e capire ciò che più conviene. E poi c'è chi non capisce per pigrizia, per superficialità, per ignoranza o per partito preso. Ma c'è anche chi, nato con quegli stessi contorni mutevoli, può compiere la scelta incredibile di mettersi a fuoco e vivere una vita netta e normale al pari della maggioranza delle persone di tutto il mondo, o, e questo è straordinario, decidere di confondersi del tutto nei molteplici significati che le cose della vita, persone, esseri viventi e azioni, hanno. È proprio di questi ultimi, che tratta questa storia. Persone che spesso possono essere intese come sempliciotte, poveri pazzi, o peggio, totali idioti. Dipende dai punti di vista, no?
Esseri dotati di una particolare fantasia, come tanti del resto, ma che per le ragioni più disparate, alla fine, hanno scelto di vivere sfuocati dando alla loro vita un'interpretazione del tutto personale, sono per natura esposti al giudizio severo di tutti. È facile attaccarli. Schernirli.
Chissà quali incredibili storie potrebbero raccontarci, invece. Non te lo chiedi mai? Chissà quale incredibile vita ha vissuto. Chissà come si chiama. Chissà come è arrivato fino a qui.
È proprio il mio caso. No, non sono io, quell'uomo. Io faccio da tramite, ne racconto la storia mentre accarezzo la mia gatta Stella. Io sono solo la voce narrante, insomma.
Quell'uomo era... in effetti assomigliava tantissimo a... beh, non importa. Non sono molto fisionomista. Mi è capitato spesso di confondere le persone, d'altronde. Eviterò dunque questo genere di descrizioni e mi limiterò a raccontare dello straordinario caso che mi portò a incontrarlo e di come, senza che me ne rendessi conto, i suoi racconti resero incredibile anche la mia vita.

Non c'era nessuno e per questo pensai che fossero andati tutti alla festa del paese. Magari alla messa, o al concerto. Poco probabile, certo, ma chissà per quale motivo non riuscivo a pensare a qualcosa di catastrofico. Non c'era anima viva perché stavano tutti da un'altra parte, ecco quanto. Fu così, quasi per semplice curiosità, che cominciai a cercarli. Tutti, intendo. Chiunque, insomma. Una persona, perlomeno. Mi avventurai, senza pensarci, nella via accanto alla mia, tenendo d'occhio porte e finestre, attento a scorgere qualunque movimento. Le auto erano parcheggiate di fronte alle abitazioni come ogni giorno e nulla faceva supporre chissà quale strano evento. Così, senza rendermi conto, visitai diversi isolati. Fu a quel punto che sollevando lo sguardo mi accorsi di essere arrivato fino in Prefettura, un grande palazzo circondato da tantissime colonne bianche. E ai piedi delle colonne, finalmente, vidi due individui vestiti di nero. A dire il vero la distanza non mi consentiva di capire come fossero vestiti, ma mi parve proprio che indossassero entrambi abiti scuri.
Stavano uno di fronte all'altro con la testa china. Parevano due sensei giapponesi ma poteva trattarsi benissimo di due ragazze molto timide. Anzi, secondo me erano due teppistelli che si minacciavano protendendo la testa come fanno i galli. La cosa strana è che, chiunque fossero, avevano entrambi la stessa postura, come fossero uno lo specchio dell'altro. Come fossero la stessa persona.
Fu a quel punto che sentii un rumore alle mie spalle. Mi voltai e vidi Stella uscire velocissima dal portone di una casa. C'incontrammo in questo modo, infatti, e come fa di solito con le persone che non conosce, non mi degnò neanche di uno sguardo. Mi colpì quella macchia bianca che le si stagliava sulla fronte. I suoi contorni non erano il massimo della definizione, ma mi parve proprio che assomigliasse a una stella. Mi sembrò normale, quindi, chiamarla così. Se mai l'avessi vista ancora una volta, l'avrei certamente chiamata Stella.
Approfittai dell'unico portone trovato aperto, dunque, e continuai le mie ricerche dentro quella casa, appena qualche minuto. Se non avessi trovato nessuno, sarei andato incontro ai due sensei o quel che erano.
Pensavo che magari, Stella, vivesse con qualcuno, o quantomeno che stesse scappando da qualcuno e tanto mi bastava. Magari qualcun altro, oltre me e le due timide ragazze accanto alle colonne della Prefettura, si erano perse la festa. Ma la casa era completamente vuota, le poche stanze dell'unico piano erano state lasciate così, come dicono nei film di fantascienza, come se gli abitanti fossero dovuti andare via di tutta fretta o come se fossero letteralmente svaniti nel nulla all'improvviso.
Stavo decidendo di andare via quando sento un affettuoso rumorino salire dal basso. Stella era tornata e faceva le fusa strofinandosi alle mie caviglie. Le sorrisi deciso di inchinarmi per accarezzarla, ma lei scattò via uscendo dalla stanza. Ne rimasi offeso, a dire la verità. Tutte così, le femmine, pensai.
Ma Stella questa volta non stava scappando. Come capii subito dopo, mi stava conducendo nella camera da letto, dove prima, in effetti, non ero entrato. Era talmente piccola e poco arredata che mi limitai ad affacciarmici appena.
C'era un letto a due piazze proprio davanti a una finestra, un armadio con quattro ante e un comò con tre cassettoni. Ora Stella stava sopra il comò e mi guardava entrare. Mi chiamava con quel miagolio delicato, promettendomi che questa volta non sarebbe scappata, così le andai incontro e d'un tratto mi accorsi di un fatto che mi raggelò il sangue. Sul piano del comò,  in fondo, appiattito al muro, c'era un uomo senza gambe che mi guardava sconvolto. Aveva solo il busto, le braccia e la testa. Le gambe mancavano e questo, nelle prime battute, mi aveva scioccato. Questo e il suo sguardo sconvolto.
Ma poi lo vidi da prima rasserenarsi e infine sorridere scuotendo la testa, così capii che in lui non c'era nessuna sofferenza e che per chissà quale bizzarro motivo, non avere le gambe, fosse normale.
-Lo sapevo-, disse ridendo.
-Mi scusi, io non avevo nessuna intenzione di entrare a casa sua. È che sono spariti tutti, si spostano in continuazione, così li stavo cercando. Davvero, non sarei entrato. Stavo proprio per raggiungere due teppistelli che stavano litigando accanto alle colonne della Prefettura, ma poi ho sentito Stella che mi chiamava eh...-, non sapevo proprio come uscirne. Le parole sgorgavano dalla mia bocca come acqua.   -... Beh, in realtà in prima battuta non mi ha considerato proprio, ma poi quando è tornata ha fatto le fusa così l'ho segui... ta-, ora mi guardava come se fossi un tenero cucciolo.
-Stella, già. Perché no. D'altronde è plausibile. Stella-, e volse lo sguardo alla gatta che ormai si leccava le zampette senza più fare caso a noi. Poi con una fierezza quasi imbarazzante mi guardò, -Ti stavo aspettando!- concluse.
-Aspettava me?-
-Ma dammi del tu, via. Si, ti aspettavo per dirti delle cose bellissime.-, la sua eccitazione, ora, era ben visibile nello scintillio degli occhi.
-D'accordo-, dissi io, cercando con lo sguardo una sedia nella stanza. Pensai di sedermi e starlo a sentire. Avevo commesso il crimine di entrare a casa sua e questa non mi sembrava una pena degna di nome, così l'accettai senza pensarci troppo. Si, ma dovetti restare in piedi, perché non c'erano sedie in quella stanza e l'uomo cominciò subito a parlare.
-Voglio raccontarti tutto. Tutta la vita. Ti racconterò tutta la mia vita. E... senti, senti questa... anche tu potrai farlo. Potrai raccontare la mia vita, la tua e qualunque altra vita vorrai raccontare. Non è fantastico? Non è meraviglioso? Si, è straordinario. Siamo nati per questo ma non lo abbiamo capito. Siamo nati per raccontare. Che senso ha vivere se poi non raccontiamo a nessuno come abbiamo vissuto? Nessuno. E sai perché non lo facciamo? Sai perché? Lo sai? Non la raccontiamo perché la nostra vita fa schifo, ecco perché. Fa schifo e ci vergogniamo, così ce la teniamo per noi, la nostra triste vita e la facciamo diventare ancora più misera. Ancora più triste. Come quelle due ragazze timide che hai visto la fuori, accanto alle colonne della Prefettura. Dovrebbero vivere un po' di più, non credi? Con un po' di fantasia si possono fare nuove amicizie, non sei d'accordo? Vivere avventure pazzesche. Sognare a occhi aperti non è solo un modo di dire, caro tu. Vuol dire vivere a pieni polmoni. Vuol dire vivere una vita che vale la pena di raccontare. Eh? Che ne dici?
-Beh, non so... credo di si-
-Allora?-
-Cosa...?-
-No, dico... la vuoi sentire? Posso raccontartela la mia vita? Le mie storie?-
-Si, certo. Raccontami pure le tue storie-
-Oh, bene. Ti racconterò tutto. Comincio da dove vuoi tu. Dimmi da dove vuoi che cominci. È uguale sai? Non fa differenza, ogni storia può essere ascoltata autonomamente dalle altre-
-Direi dall'inizio-
-Oh, accidenti. Ottima scelta. L'inizio è sempre un buon modo per cominciare. Bravo.-
-Grazie-
-Bene, allora comincerò dal giorno in cui sono nato. Che storia, ragazzi, da non crederci. Puoi dirmi quello che vuoi, ma ciò che accadde quel giorno vale proprio la pena di essere raccontato. Ascolta.-

#1 - Quando nacqui centrocampista.
#2 - Quando sconfissi Mommotti. (Prossimamente)

sabato 27 ottobre 2012

le donne... non è gente

Secondo me le donne non esistono. Non come genere femminile umano, intendo. Fanno parte di un'altra specie, c'è poco da dire. Hanno qualcosa di oscuro e incomprensibile dentro che è difficile da spiegare. Non sto dicendo che "non le capisco", non è questo. Le capisco, si. Certo che le capisco. Ma la loro totale irrazionalità è qualcosa che non fa parte di questo mondo.
Ci pensavo da poco, guardando la TV. Hai notato che gli ultimi inquietanti delitti commessi da donne rimangono quasi irrisolti? Per dire... Falle confessare se ci riesci!
E poi ti fanno fare strane cose. Alcune le tratti male senza motivo. Altre le tratti bene senza nessun motivo!
La cosa strana è che col tempo ti rendi conto che le situazioni sono sempre le stesse.
Parlavo con una persona, da poco, un giovanotto che aveva problemi con la sua prima ragazza. "Mi ha lasciato perché non sapeva più cosa provava per me", mi fa. "Cosa hai combinato?" chiedo io. "Io nulla. Lei ha baciato un altro! Un paio di mesi fa, lo ha baciato. Ora me lo ha detto e mi ha lasciato. Così!" Mi guardava incredulo. "Evvabè, dai, capita. Capita a tutti. Capita sempre!" Dico io per rincuorarlo. "Si ma è cambiata, prima era diversa..." cerca di chiarirsi, lui. "Eh grazie, prima aveva 14 anni!"
Non c'è niente da fare, queste storie le conosco già.
Ci sono quelle che pensano di vivere una favola e ti attribuiscono il ruolo del principe azzurro, a te che al massimo puoi recitare la parte di uno dei "Tre porcellini". Poi, quando se ne accorgono, che tu non sei il principe azzurro, ti mollano. E te lo dicono, il perché: "Pensavo fossi il principe azzurro invece sei pieno di difetti!". E te li elencano pure, i difetti. E c'hanno ragione, c'hanno. Li beccano tutti e fortunatamente non ne hanno notati alcuni. I peggiori.
Ho un'amica che mi chiede sempre di guidare. Così. Io sto guidando e magari la riporto a casa. Lei vuole guidare. Perché poi era nato tutto un giorno che aveva dimenticato una cosa IMPORTANTISSIMA! Mi ero incazzato perché era IMPORTANTISSIMA e lei mi aveva detto: "lasciami le chiavi della tua macchina che vado a prendere la cosa IMPORTANTISSIMA!" e io, allora, valutando tutte le possibili conseguenze cosmiche avevo detto: "Dai, non importa. Lascia perdere". Da allora lei si è messa in testa che io non ho fiducia nelle sue innate capacità di pilota.
Ma le donne non sanno guidare! Non è una mia impressione. È la pura verità. Usano il clacson appena vedono spuntare il muso di una bici a 400 metri di distanza, per esempio. Quando devono parcheggiare se non trovano uno spazio grande quanto il doppio della macchina restano a cercarlo per altri due giorni. Con l'evoluzione stanno acquistando un altro braccio per le marce perché scordati che usino una delle due con le mani incollate al volante! E il sedile? Non lo accostano al volante, lo mettono proprio sotto incastrato nel cruscotto. "Per arrivarci meglio!" Ma stai comoda, diamine. Devi star comoda quando guidi, rilassati.
Ho un'altra amica che riesce a odiare una persona a pelle dopo due secondi. Ma la cosa più incredibile è che glielo deve far sapere. Non in modo velato. Sottile. No. Glielo dice. Garbata, ma glielo dice. Ed è finita, perché quella persona è stata inserita in una speciale lista nera dalla quale non uscirà mai. Chissà per quale strano motivo, poi.
Dicono, "Voi uomini siete tutti uguali", ma non è proprio così. Il fatto è che comunque, alla fine, apparteniamo a una grande categoria che con le dovute sfumature ci accomuna tutti. Quindi, se riesci a capire un uomo e le sue peculiarità, probabilmente riuscirai a comprenderne un altro con sfumature simili. Il vero problema, infatti, non siamo noi. Il problema concreto è che loro non sono solo diverse una dall'altra, ognuna è un intero universo completamente diverso dall'altro. Ogni volta devi ricominciare da capo. Ogni volta è una lotta. Ma quando poi trovi il senso...
È quello che mi frega. Il senso.
A parte tutto, comunque, preferisco un'amica, a dieci amici. Tu no? Ma non fraintendermi, parlo di semplice ma profonda amicizia. Trascorrere qualche lieta ora a chiacchierare con una donna mi stimola molto di più che farlo con un uomo. Perché, tranne alcuni rari casi, si finisce a parlare sempre delle stesse cose e infine sempre di donne, cazzo. Un chiodo fisso! Con loro no, non ci penso neppure, alle donne. È come se ognuna, con la sua vicinanza, annullasse tutte le altre. Le cancellasse completamente. Esiste solo lei, ora. Basta. E non sto parlando di sesso. Stregoneria.
Esempio. A Scuola per i primi tempi avevamo formato una specie di banda. Terribile. Non dimenticherò mai la municipale che ci rincorre attraverso le viuzze del paese e noi rimasti in due in un "Si" a scappare rischiando di lasciarci la pelle contro qualche muro. Divenni un abile giocatore di biliardo e si parlava di donne senza battere mai chiodo. E la squola? Beh, fai un po' tu.
Decisi di cambiare strategia, quindi. Cominciai a viaggiare con le mie compagne di classe e le cose cambiarono notevolmente. Il primo passo verso l'uscita del tunnel delle superiori, infatti è proprio quello. Il treno. Credete che trascorrano tutto il giorno a studiare, in casa? Si fanno i cazzi loro quanto e più di noi, altroché. Stanno attente quanto basta in classe, rileggono tutto in treno e ripetono la lezione. Se viaggi con loro, stai sicuro, che qualcosa la impari e la scuola non è più un problema.
Un'amica inventa le parole perché secondo lei quelle esistenti non rendono al meglio il concetto da lei espresso. Capirai. Ma è talmente convinta di questo che ormai lo afferma serissima. Un'altra pur comprendendo la limba (la lingua sarda), non sa parlarlo. Fattene una ragione, no? No. Inventa le parole. Le prende in italiano e cercando il suono che a lei piace di più, le reinventa in sardo. Un'operazione complicatissima, inutile e senza senso. Ma lei è contenta così.
Poi, quell'altra, quella che ha sempre ragione. Quella che oggi mi spiega una teoria impossibile che non mi convince per niente e che domani la fa passare come accettata e ormai risaputa. E mi guarda con quell'espressione e quegli occhi che solo lei in questo pianeta ha imparato a fare (ognuna ha il suo), come per dire, "ho ragione e tu lo sai, ti sfido a dire il contrario!".
Sono incredibili. Impossibili. E se ho scritto la lista della spesa, c'è chi mi dice "Ma come fai...", senza capire che il genio è lei, con la matita, i pennelli, le sue idee... la sua voce... che voce, quando cantava!
Non fanno parte di questo mondo. Di questo universo. Perché ognuna è un altro universo. Universi in continua espansione. Cominci un post parlando male di loro e lo chiudi... beh...

pontypool


Eccezionale!
Il talento, questa volta, è tutto canadese. Il regista Bruce McDonald smonta tutto lo smontabile e ricrea qualcosa di completamente nuovo. L'importante è togliere ogni logica comprensibile. Davvero geniale.
Siamo in una tranquilla cittadina del Canada, a Pontypool. Una piccola stazione radio, come ogni giorno, va in onda. Durante la diretta alcune persone telefonano per testimoniare di strani avvenimenti che riguardano persone che si comportano come bestie e soppressioni indiscriminate da parte di polizia ed esercito. Da li a poco, la situazione precipita.
Orrore è intelletto.
Horror è d'autore.
Immagine è parola.
Zombie è inciviltà.
Uccidi è bacio.
Non vedrai niente di già visto. In tutti i sensi. Non hai capito nulla? Beh, meglio così. Evita di comprendere e... mi raccomando: Zitto o muori!, ma se proprio ti scappa di usare le parole, stai bene attento a quello che dici o sarai l'artefice della fine del mondo.

Pontypool - Zitto o muori di Bruce McDonald
Canada, 2008
con Stephen McHattie

lunedì 8 ottobre 2012

melancholia


Leeeeentooooo!!!
Questo film è lentissimo e dura più di due ore, titoli compresi.
Finalmente l'ho visto. Me ne avevano parlato male nonostante le critiche positive su internet e io prendevo tempo perché non volevo guastarmi il buonissimo sapore che ancora sentivo, a distanza di tempo, per quel capolavoro che è stato Antichrist, precedente film dello stesso regista. Invece l'ho visto ed è bellissimo! un opera unica che cambia tutto il concetto di cinema.
Lars Von Trier non si limita a dirigere un film. Lui dipinge, compone (nel senso di realizzare un collage), crea e poi come il più maledetto degli artisti maledetti, distrugge tutto, e distrugge se stesso. Perché "la vita in questo mondo è cattiva e nessuno sentirà la sua mancanza". Depressione.
Già. È pericoloso vedere questo film e prenderlo troppo sul serio. Perché la sensazione che senti crescere è reale, specialmente in persone come me portate alla depressione e all'autodistruzione.









Von Trier divide il film in capitoli, come sua abitudine, e crea due diversi racconti collegati tra loro eliminando tutti i personaggi superflui (anche questa è una sua caratteristica) per andare a chiudere con i soli protagonisti.
Il prologo è la cosa più bella e visivamente affascinante che abbia mai visto. Crea immagini, dipinge quadri, compone grafica artistica, anima fotografie e porta la fotografia cinematografica a un livello superiore.
Il preludio a Tristano e Isotta di Richard Wagner fa da cornice musicale alla catastrofe. Infatti ci toglie ogni dubbio sul finale, il regista. Non ci sarà nessun lieto fine, scordatevelo. La terra andrà in collisione col pianeta Melancholia e ce lo fa vedere subito.
La storia che ci racconta non è, dunque, una classica teoria catastrofica piena di effetti speciali. Quello che vuole mostrarci è la differenza di comportamento delle persone coinvolte in una catastrofe di tale portata. L'idea di questo film pare gli sia venuta durante una sessione di analisi dallo psicologo dove ha appreso che le persone depresse riescono a restare più calme, in situazioni di forte stress.
Dunque crea due personaggi che rappresentano due diversi aspetti della sua personalità e li mette a confronto. La prima è Justine, una copywriter troppo brava per la pubblicità, fresca di matrimonio e affetta da una gravissima forma di depressione. La parte venne scritta originariamente per Penelope Cruz, ma alla fine fu affidata a Kirsten Dunst.
La seconda è Claire (Charlotte Gainsbourg), sorella della prima, casalinga sposata con un ricchissimo uomo d'affari (Kiefer Sutherland) e madre di un bimbo. Al contrario di Justine, lei ha un carattere forte (almeno all'apparenza) e propositivo. Vuole avere il controllo su tutto anche e sopratutto nelle situazioni in cui non è protagonista e arriva persino a odiare tutte quelle persone (Justine compresa) che non riescono a essere felici. Secondo lei, infatti, la vita è bella a prescindere e i soldi riescono a risolvere qualunque tipo di problema. Ammirevole, anche no, ma non è esattamente così.
Il film racconta, dunque, gli ultimi attimi del pianeta terra e in particolare gli ultimi giorni di due sorelle. Mentre Justine ci viene presentata come una dolcissima ragazza felice per avere coronato il suo sogno d'amore, col trascorrere del tempo ci rendiamo conto che la sua è solo una grande finzione e ci caliamo nei suoi pensieri neri e nella sua inguaribile depressione. Di contro Claire ci viene presentata come una forte e burbera donna sempre pronta a rimproverare chiunque non segua i suoi dictat per poi accorgerci della sua fragilità e della sua frustrazione dovuta al fatto che non riesce a controllare l'incontrollabile e proteggere la sua famiglia dall'inevitabile, neanche con tutti i soldi che ha a disposizione.
La Gainsbourg è bravissima, come al solito (lo è sempre stata dai tempi de Il giardino di cemento), mentre la Dunst no. Cioè, è stata brava, forse la sua migliore interpretazione. Tutti l'hanno osannata, e mi pare che abbia vinto pure dei premi. Ma non mi colpisce, come al solito.
Come sempre accade per i film di Lars Von Trier, anche questa volta siamo di fronte a qualcosa che può dividere nettamente i pareri e i gusti del pubblico, ma è innegabile che siamo al cospetto di un film eterno!

Melancholia di Lars Von Trier
Danimarca, Germania, Francia, Svezia, Italia 2011
con Kirsten DunstCharlotte Gainsbourg e Kiefer Sutherland

domenica 7 ottobre 2012

l'alba dei morti dementi



Uscito nel 2004 col titolo Shaun of the dead, è stato accolto positivamente da alcuni e ignorato da altri. Niente di nuovo. I fan dell'horror ne hanno apprezzato le citazioni ma come spesso accade, i puristi, hanno mal digerito la leggerezza con cui è stato tradotto il titolo. Shaun è una derivazione del nome Giovanni, ha origini ebraiche e significa "dono del Signore". È il nome del protagonista. La soluzione migliore sarebbe stata "Shaun dei morti", ma in Italia hanno voluto omaggiare Romero e il suo Dawn of the dead (che in italiano sarebbe dovuto essere "L'alba dei morti" e che invece è diventato semplicemente Zombi), riprendendo l'aggettivo "viventi" (e storpiandolo in "dementi") accanto al sostantivo "morti" del primo Night of the living dead (La notte dei morti viventi). Semplice, no?
Ma perché non lasciare i titoli in inglese? Shaun of the dead è già un chiaro omaggio a Dawn of the dead!
Questo film fa parte della Trilogia del Corneto concepita dal regista Edgar Wright il quale accosta un gusto di gelato e quindi un colore diverso a ognuno dei film (a un certo punto, i protagonisti, mangiano un cornetto), omaggiando chiaramente la trilogia di Krzysztof Kieslowski, Tre colori.
Comunque.
Shaun (Simon Pegg visto anche in Hot Fuzz, secondo film della trilogia, di cui parlerò più avanti) è un trentenne o poco più che si divide tra il noiosissimo lavoro in un negozio di elettrodomestici, la relazione secondo lui stabile con la fidanzata Liz e l'amicizia da difendere a tutti i costi con lo sfaticato e quasi inutile Ed. I suoi valori e le sue certezze fanno a pugni con un mondo marcio e con le insicurezze di Liz così è costretto a stare in equilibrio in una situazione che diventa sempre più instabile. Liz lo lascia e lui non trova di meglio da fare che andare al pub con Ed mentre i morti tornano in vita... e sono affamatissimi!
Accade tutto senza che Shaun se ne accorga perché è troppo impegnato con i suoi problemi. Un virus, probabilmente, si diffonde tra i cadaveri e durante la notte l'epidemia è ormai esplosa incontrollabile. I telegiornali danno la notizia e qualche consiglio per la sopravvivenza. Shaun e Ed continuano a interpretare il ruolo di sfigati in un mondo che non si cura di loro e parlano di cose poco importanti.
Cambia tutto quando i due prendono coscienza della situazione e lo fanno in una scena esilarante. Da vedere e rivedere! È a questo punto che Shaun, in un colpo solo, ha l'occasione di far vedere a tutti di che pasta è fatto. Ma lui è spinto dal semplice istinto di sopravvivenza. Così, dopo qualche ora passata a organizzare il piano, in un'altra scena irreale, si mette in moto con il suo fedele amico Ed. L'obiettivo è: salvare sua madre e uccidere il patrigno (sperando che sia diventato uno zombi), salvare Liz (portandola via come farebbe un cavaliere coraggioso) e arrivare al pub (come in Zombi arrivarono al centro commerciale) e li aspettare che le cose si risolvano da sole. Inutile dire che il piano fa acqua da tutte le parti e che nulla effettivamente va esattamente come previsto, ma che alla fine l'obiettivo viene raggiunto. I nostri eroi fingono addirittura di essere degli Zombi per passare inosservati tra quelli veri ed entrare finalmente nel pub dove il cerchio si chiude in un finale splatter, drammatico, con una certa suspance, ma nello stesso tempo tutto da ridere!

Shaun of the dead di Edgar Wright
Regno Unito, Francia 2004
con Simon Pegg, Nick Frost e Kate Ashfield