... quella per cui ancora una volta ho staccato la spina e pian piano mi lascio andare, cullato dalla leggerezza dei momenti inutili, i quali di solito si perdono durante il susseguirsi dei giorni ma che io afferro come fossero ossigeno, come fossero l’unica ragione di vita. E galleggio.
Mi sento impotente e mi lascio andare, lontano, lontano e prego perché qualcuno metta fine a questo massacro. E m’innamoro del momento, di questa bolla ermetica che mi soffoca e toglie la vita. Mi sento spento. Forse vuoto, ma spento.
A volte piango, un riflesso. Solo finzione o poco più che una rappresentazione del pianto. E poi nulla, niente che mi scuota davvero, che mi afferri con forza e con il muso cattivo mi urli in faccia “svegliati stronzo”. Cullato, galleggio e comincio a perdermi nell’orizzonte.
Che faccio? Niente, faccio. Cammino per le strade silenziose del paese. Cammino per tutta la notte fumando le mie Chesterfield con la consapevolezza di stare a pochi metri da perfetti sconosciuti e pensare a loro. Da queste parti soltanto una parete ti separa dalle persone che dormono e magari sognano. Indifesi. Passando accanto alle finestre in queste strettissime vie ne senti i respiri pesanti, stanchi. Si ricaricano insieme ai loro cellulari e la mattina seguente riemergono e tenaci inseguono la propria vita. L’invidio, non so a cosa pensino, se magari si sentono fregati, qualche volta. Se per caso anche loro muoiono di vita, o piangono per le sciocchezze o bevono per dimenticare i problemi. Invidio il fatto che si rialzino per ricominciare. Ogni giorno. E ogni giorno sono più vecchi di un giorno o più. E la sensazione è ancora più forte. Che faccio?
Niente, faccio. Metto su due cose e sparisco, nessuno più mi vedrà, nessuno più penserà a me. Nessuno avrà più il minimo ricordo. Ma il problema è che io saprò sempre dove sono.
Mi sento impotente e mi lascio andare, lontano, lontano e prego perché qualcuno metta fine a questo massacro. E m’innamoro del momento, di questa bolla ermetica che mi soffoca e toglie la vita. Mi sento spento. Forse vuoto, ma spento.
A volte piango, un riflesso. Solo finzione o poco più che una rappresentazione del pianto. E poi nulla, niente che mi scuota davvero, che mi afferri con forza e con il muso cattivo mi urli in faccia “svegliati stronzo”. Cullato, galleggio e comincio a perdermi nell’orizzonte.
Che faccio? Niente, faccio. Cammino per le strade silenziose del paese. Cammino per tutta la notte fumando le mie Chesterfield con la consapevolezza di stare a pochi metri da perfetti sconosciuti e pensare a loro. Da queste parti soltanto una parete ti separa dalle persone che dormono e magari sognano. Indifesi. Passando accanto alle finestre in queste strettissime vie ne senti i respiri pesanti, stanchi. Si ricaricano insieme ai loro cellulari e la mattina seguente riemergono e tenaci inseguono la propria vita. L’invidio, non so a cosa pensino, se magari si sentono fregati, qualche volta. Se per caso anche loro muoiono di vita, o piangono per le sciocchezze o bevono per dimenticare i problemi. Invidio il fatto che si rialzino per ricominciare. Ogni giorno. E ogni giorno sono più vecchi di un giorno o più. E la sensazione è ancora più forte. Che faccio?
Niente, faccio. Metto su due cose e sparisco, nessuno più mi vedrà, nessuno più penserà a me. Nessuno avrà più il minimo ricordo. Ma il problema è che io saprò sempre dove sono.
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