Avevo 23 anni, nel '97.
Avevamo costituito l'Associazione (Chine Vaganti), organizzato la manifestazione Viaggio nel fumetto, e pensammo (Daniele e io) di creare una rivista per farci un regalo. Macchie d'inchiostro n°0. Noi l'abbiamo sempre chiamata "rivista"...
Comunque dico, "facciamo un'intervista a Franco Putzolu, che vive dietro casa?"
"Bello si, chiedigli se ci disegna la copertina!", perché Daniele rilancia sempre.
Ricordo che non sapevo nulla di lui, vedevo le sue vignette sull'Unione Sarda e quella sua inconfondibile firma, ogni volta, mi sembrava un disegno aggiunto. Qualcosa da ammirare ogni volta.
Quando arrivai all'appuntamento mi piacque il fatto di riconoscerlo.
Abitava dietro casa, tra l'altro di fronte a casa di mi zia, ma non lo sapevo. Pensavo addirittura di non averlo mai visto in viso, invece eccolo li di fronte a me. Un viso familiare. Invecchiato, anche.
Mi raccontò subito della sua partenza dalla Sardegna. Di quando partì volontario nella Marina Militare. Perché sognava di fare lunghi viaggi in mare, mi disse. Andava a ripescare tutti i ricordi in modo veloce come avesse un ripostiglio ordinato nella mente. Poi invece mi confessò che aveva appena rilasciato un'intervista dove diceva le stesse cose...
Mi ricordo che mi piaceva starlo a sentire e nel mentre scrivevo tantissimo sul mio blocco notes appena acquistato. Sul giornale uscì un articolo di cinque pagine. Ricordo di avere scritto un racconto che comprendeva l'intervista e poi di averlo tagliato tutto lasciando solo l'intervista secca.
Scrissi un racconto perché mi colpì tutta la faccenda e perché alla fine, quando me ne andai, pioveva. Ricordo di essermi sentito addosso una tristezza infinita perché in quel momento mi sentivo come uno dei suoi personaggi, quelli degli anni sessanta, rinchiusi all'interno della loro solitudine attraverso la pioggia che nel suo gioco fatto di umorismo nero diventava altro. La pioggia era dunque un cancello chiuso a chiave. E la chiave era al di qua della pioggia/cancello mentre l'omino stava al di là, seduto in una panchina e si riparava con un'ombrello.
A un certo punto mi fece vedere il suo archivio e m'illuminai. Cominciò a fotocopiarmi illustrazioni e vignette e disegni. Mi disse "scegli quelli che ti piacciono di più, usa quelli che vuoi". "Mi scusi, ma le vignette le conoscono tutti", dissi, "perché non usiamo i disegni vecchi, quelli neri". Me ne fotocopiò una cinquantina e mi raccontò di quel periodo. Di Diabolik, Horror...
"... fu in quello stesso periodo che riuscii finalmente a pubblicare le "mie" cose, grazie all'incontro con una donna straniera... Veniva in Italia a prendere i lavori dei disegnatori e li portava all'estero. Si trattava di vignette nere, surreali, autolesioniste, che in Italia non trovavano spazio... Era impossibile tuttavia seguirne le tracce e i ritagli che mi riportava in dietro erano rari. Ho recuperato ben poco di quei lavori... Sul Bertoldo cominciai anche a pubblicare alcuni fumetti, ma il mio interesse era rivolto ad altro."
"... Bernardo Zapponi dirigeva Il Delatore... Un numero intero venne dedicato ai giovani disegnatori dei primi anni settanta, umoristi che strizzavano l'occhio al noir di maestri francesi quali Roland Topor che ne realizzò la copertina. Il titolo del libro/rivista era "L'umorismo del silenzio"... Alberto Moravia... apprezzò l'opera e i disegni... e tra gli altri citò i miei..."
"... Zucconi, direttore de' La Domenica del Corriere... disse che ero andato troppo avanti con i tempi, almeno di quindici anni e non potevano uscire (quel genere di disegni) sul Corriere dei piccoli o su Amica."
"L'ispirazione, forse, mi è venuta da Topor, ma l'unico che mi ha lasciato qualcosa è Saul Steinberg che pubblicava in America..."
Mi ricordo un uomo gentile, felice per la sua vita, ma nello stesso tempo triste per non essere riuscito a sfondare con quelle sue idee strane, fatte di omini che si temperano le dita. Malinconico per il tempo che fu e che non sarebbe più stato. Un artista sincero e una persona sensibile.
Arrivederci, Signor Franco.
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