Due parole su Lorenzo:
Lorenzo era alto… non saprei dire, quanto. Lorenzo era basso, ecco. Portava sempre vecchi pantaloni in stoffa con la cerniera rotta, una flanella lercia, una camicia a quadri grandi abbottonata fin su e un capotto di cinque o sei chili addosso. Fumava alfa senza filtro con passione e le fumava finché il tabacco ardente non gli bruciava i polpastrelli. La sua vera passione, tuttavia, erano le mutande. Lui le adorava. Specialmente quelle femminili. Non aveva nessun tipo di rapporto morboso con esse, semplicemente gli piaceva indossarle. Ne portava addosso sei, sette paia e ne avrebbe indossato altre, se le avesse avute. Portava sempre una barbetta incolta, sporca di sugo e altre prelibatezze e i capelli arruffati e incollati. E poi parlava, parlava sempre, da solo o con chi gli capitava, sempre quei suoi discorsi importanti, che se avevi la pazienza di ascoltarlo, potevi dargli anche un senso. Ce l’aveva ogni volta con qualcuno e possedeva la soluzione per qualunque problema.
Tutti ridevano di lui, ma lo trattavano comunque con gentilezza, anche quando erano costretti a starlo a sentire. Al massimo gli dicevano “Ho fretta Lorenzo, sarà per un’altra volta”, in modo molto garbato. Una volta capitò nel “parcheggio” del paese, dove gli innamorati sostano la notte per trovare un po’ di privacy e disse semplicemente la sua, senza pretese:
«LA VITA … TI PROMETTE… LA VITA ! (pausa lunga) LA MORTE , INVECE… TI PROMETTE… LA MORTE !… CHI MENTE?». Poi andò via, rimuginando qualcosa finché non trovò qualcuno a cui spiegare tutto.
«Quello…», gli disse, «… non lo conosco! Era parente di qualcuno che non conosco. Di sicuro!», parlava gesticolando e quella volta lo fece più del solito. Sfoderò l’indice e lo agitò tagliando l’aria in forme geometriche perfette. «Lei gli faceva il servizietto… è giusto così, ma non credere sai che tu possa fuggire?! Non puoi andare via di qui. Io l’ho sentito in televisione da mia sorella, che c’era quello che lo diceva. È un labirinto, con le strade corte. Zack!, un muro davanti e sei fregato. È una bugia cinese che non finisce mai», e poi andò via salutando, rimuginando ancora altre mille cose. Il passante rimase lì, con le mani in tasca, come chi viene travolto da un atroce dubbio e non sa come fare per risolverlo, così è troppo disperato e non dorme la notte perché gli viene in mente che forse ha sbagliato tutto.
Lorenzo era…
Lorenzo è morto. È stato ritrovato in mattinata dietro la stazione, ricoperto di sangue e con il volto sfigurato. È stato picchiato a morte, Lorenzo. Bastonato sul viso e sulla testa, preso a calci sulle gambe, lo stomaco e la schiena. I suoi testicoli sono stati schiacciati, presumibilmente con le scarpe. Lorenzo è stato ucciso. Addio.
Lorenzo era alto… non saprei dire, quanto. Lorenzo era basso, ecco. Portava sempre vecchi pantaloni in stoffa con la cerniera rotta, una flanella lercia, una camicia a quadri grandi abbottonata fin su e un capotto di cinque o sei chili addosso. Fumava alfa senza filtro con passione e le fumava finché il tabacco ardente non gli bruciava i polpastrelli. La sua vera passione, tuttavia, erano le mutande. Lui le adorava. Specialmente quelle femminili. Non aveva nessun tipo di rapporto morboso con esse, semplicemente gli piaceva indossarle. Ne portava addosso sei, sette paia e ne avrebbe indossato altre, se le avesse avute. Portava sempre una barbetta incolta, sporca di sugo e altre prelibatezze e i capelli arruffati e incollati. E poi parlava, parlava sempre, da solo o con chi gli capitava, sempre quei suoi discorsi importanti, che se avevi la pazienza di ascoltarlo, potevi dargli anche un senso. Ce l’aveva ogni volta con qualcuno e possedeva la soluzione per qualunque problema.
Tutti ridevano di lui, ma lo trattavano comunque con gentilezza, anche quando erano costretti a starlo a sentire. Al massimo gli dicevano “Ho fretta Lorenzo, sarà per un’altra volta”, in modo molto garbato. Una volta capitò nel “parcheggio” del paese, dove gli innamorati sostano la notte per trovare un po’ di privacy e disse semplicemente la sua, senza pretese:
«
«Quello…», gli disse, «… non lo conosco! Era parente di qualcuno che non conosco. Di sicuro!», parlava gesticolando e quella volta lo fece più del solito. Sfoderò l’indice e lo agitò tagliando l’aria in forme geometriche perfette. «Lei gli faceva il servizietto… è giusto così, ma non credere sai che tu possa fuggire?! Non puoi andare via di qui. Io l’ho sentito in televisione da mia sorella, che c’era quello che lo diceva. È un labirinto, con le strade corte. Zack!, un muro davanti e sei fregato. È una bugia cinese che non finisce mai», e poi andò via salutando, rimuginando ancora altre mille cose. Il passante rimase lì, con le mani in tasca, come chi viene travolto da un atroce dubbio e non sa come fare per risolverlo, così è troppo disperato e non dorme la notte perché gli viene in mente che forse ha sbagliato tutto.
Lorenzo era…
Lorenzo è morto. È stato ritrovato in mattinata dietro la stazione, ricoperto di sangue e con il volto sfigurato. È stato picchiato a morte, Lorenzo. Bastonato sul viso e sulla testa, preso a calci sulle gambe, lo stomaco e la schiena. I suoi testicoli sono stati schiacciati, presumibilmente con le scarpe. Lorenzo è stato ucciso. Addio.
4 commenti:
Eccola di nuovo quella valigetta... ed ecco di nuovo quelle atmosfere...
Continua così, ti seguo!
Ho provato a non farlo entrare, ma se ne resta la fuori accovacciato sulle ginocchia a guardarsi attorno spaesato...
Una parola dietro l'altra e soffi la vita sulla figura di un matto con la barba impiastricciata, uno di quei matti che per Kerouac erano più interessanti dei "normali".
Mi sono commosso.
Grazie Marci.
Ti capisco... il mondo è impazzito.
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